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  depuratori
 
Si può chiedere ai Comuni la restituzione degli ultimi 10 anni di tariffe o canoni pagati per il servizio pubblico di depurazione delle acque reflue.
Ciò è possibile laddove nel Comune interessato:
- manca un impianto per la depurazione delle acque reflue;
- l'impianto di depurazione c'è, ma è temporaneamente inattivo;
- oppure, come ha statuito la Suprema Corte di Cassazione (sent. n. 3314/2020), l'impianto di depurazione è "assolutamente insufficiente".
 
In tutti questi casi, l'utente può:
- contestare (per iscritto) la bolletta che viene comunicata dal Comune, sospendendone il pagamento per quella parte destinata a corrispettivo per un servizio pubblico di depurazione in realtà non prestato dall'Ente;
- chiedere (sempre per iscritto) la restituzione al Comune fino agli ultimi dieci anni di corrispettivi indebitamente richiesti dall'Ente ed effettivamente pagati.
 
Questo principio è ormai consolidato a seguito della sentenza emessa dalla Corte Costituzionale il 10 ottobre 2008, n. 335. L’Alta Corte decidendo sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice di Pace di Gragnano (NA) con 3 ordinanze 1 del 3, 31 maggio e 16 settembre 2007, ha dichiarato con sentenza n. 335 del 10.10.2008 l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della L. n. 36/1994, sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall’art. 28 della L. n. 179/2002, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”. 
 
Come chiarito nella citata sentenza, la tariffa ha natura di corrispettivo di diritto privato: “la tariffa del servizio idrico integrato si configura, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza. La quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto (art. 13 della legge n. 36 del 1994)”.
 
In definitiva, la norma censurata, imponendo l’obbligo di pagamento in mancanza della controprestazione, infatti, prescindeva dalla natura di corrispettivo contrattuale della quota e, pertanto, si poneva ingiustificatamente in contrasto con la ratio del sistema della L. n. 36 del 1994, fondata, invece, sull’esistenza di un sinallagma che correla il pagamento della tariffa stessa alla fruizione del servizio per tutte le quote componenti la tariffa del servizio idrico integrato, ivi compresa la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione.

Il Giudice delle Leggi ha stabilito quindi: a) la natura di corrispettivo contrattuale delle somme pagate per la depurazione delle acque, a partire dal 4 ottobre 2000; b) la conseguente illegittimità della richiesta di un tale pagamento in assenza della fornitura del corrispondente servizio di depurazione delle acque.
 
 
 
 
La Legge 25 febbraio 1992, n. 210 (così come successivamente modificata dal D.L. 23 ottobre 1996, dalla Legge 25 luglio 1997, n. 238 e dalla Legge 14 ottobre 1999, n. 362) prevede come epigrafe: “INDENNIZZO A FAVORE DEI SOGGETTI DANNEGGIATI DA COMPLICANZE DI TIPO IRREVERSIBILE A CAUSA DI VACCINAZIONI OBBLIGATORIE, TRASFUSIONI E SOMMINISTRAZIONE DI EMODERIVATI”.
L’art. 1 della suindicata Legge, così prevede: “Chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge.”.
L’art. 2, invece, disciplina le varie tipologie di indennizzo.
L’art. 3 chiarisce che i soggetti interessati ad ottenere l’indennizzo di cui all’art. 1, comma 1, presentano alla USL competente le relative domande, indirizzate al Ministro della Sanità, entro il termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di epatiti post-trasfusionali o di dieci anni nei casi di infezioni da HIV. I termini decorrono dal momento in cui, sulla base delle documentazioni di cui ai commi 2 e 3, l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno. La USL provvede, entro novanta giorni dalla data di presentazione delle domande, all’istruttoria delle domande stesse e all’acquisizione del giudizio di cui all’art. 4, sulla base di direttive del Ministero della Sanità, che garantiscono il diritto alla riservatezza anche mediante opportune modalità organizzative.
L’art. 4, invece, regolamenta il giudizio sanitario sul nesso causale tra la vaccinazione, la trasfusione, la somministrazione di emoderivati, il contatto con il sangue e derivati in occasione di attività di servizio e la menomazione dell’integrità psico-fisica o la morte, questo rimesso ad una Commissione medico-ospedaliera
L’art. 5, altresì, disciplina l’ipotesi di impugnazione avverso il giudizio della Commissione medico-ospedaliera.
È ragionevole ritenere che l’indennizzo previsto dalla predetta L. n. 210/1992, possa essere riconosciuto, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, anche nel caso di vaccinazioni non obbligatorie, ma fortemente consigliate dallo Stato, come nel caso di somministrazione di vaccini inerenti l’emergenza sanitaria da Cov-Sars-2.
Infatti, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 27 del 26.02.1998, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della L. n. 210/1992, precisando che “non è costituzionalmente lecito alla stregua degli articoli 2 e 32 della Costituzione, richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per un interesse collettivo, senza che la collettività stessa sia disposta a condividere, come è possibile, il peso delle eventuali conseguenze negative; non vi è ragione di differenziare, dal punto di vista del suddetto principio, il caso in cui il trattamento sanitario sia imposto per legge da quello in cui esso sia, in base ad una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella società” (nello stesso senso vedi Corte Costituzionale 22.06.1990, n. 307 e 16.10.2000, n. 423).
Va, in ogni caso, osservato che la descritta procedura per l’accertamento del diritto a tale indennizzo non preclude il diritto del danneggiato dalla somministrazione del vaccino ad ottenere l’integrale risarcimento del danno, che trova il suo fondamento in un fatto illecito imputabile a titolo di dolo o colpa secondo la disciplina generale in tema di responsabilità civile di cui all’art. 2043 c.c.
Il danno subito dal soggetto sottoposto a vaccinazione obbligatoria o facoltativa, può essere causato sia da chi materialmente ha somministrato il vaccino, sia dal produttore dello stesso.
Solamente nel caso in cui sia stata accertata la difettosità di un vaccino è possibile ottenere un risarcimento del danno a seguito delle lesioni subite in quanto l’art. 4 della Direttiva 85/374/CEE del 25.07.1985, in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, prevede per quanto qui interessa, che “il danneggiato deve provare il danno, il difetto, e la connessione causale tra difetto e danno”.
Al riguardo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sezione II con sentenza del 21.06.2017 (C-621/15), ha stabilito che “il giudice di merito, chiamato a pronunciarsi su un azione diretta ad accertare la responsabilità del produttore di un vaccino per danno derivante da un asserito difetto di quest’ultimo, può ritenere, nell’esercizio del libero apprezzamento conferitogli al riguardo, che, nonostante la costatazione che la ricerca medica non stabilisce né esclude l’esistenza di un nesso tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza della malattia da cui è affetto il danneggiato, taluni elementi in fatto invocati dal ricorrente costituiscano indizi gravi, precisi e concordanti, i quali consentono di ravvisare la sussistenza di un difetto del vaccino e di un nesso di causalità tra detto difetto e tale malattia”.
 
 
 
 
Si vuole affrontare il tema dell'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia professionale ai sensi dell'art. 10 del D.P.R. n. 1124/1965, riportando una serie di recenti arresti giurisprudenziali sul punto, ma non prima di rassegnare il testo delle fonti normative del c.d. danno differenziale o complementare:
 
Art. 10 D.P.R. n. 1124/1965
L'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro.
Nonostante l'assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato.
Permane, altresì, la responsabilità civile del datore di lavoro quando la sentenza penale stabilisca che l'infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro, se del fatto di essi debba rispondere secondo il Codice civile.
Le disposizioni dei due commi precedenti non si applicano quando per la punibilità del fatto dal quale l'infortunio è derivato sia necessaria la querela della persona offesa.
Qualora sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia, il giudice civile, in seguito a domanda degli interessati, proposta entro tre anni dalla sentenza, decide se per il fatto che avrebbe costituito reato, sussista la responsabilità civile a norma dei commi secondo, terzo e quarto del presente articolo.
Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell'indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto.
Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti.
Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39.
 
A questo punto si riportano le massime di alcune significative pronunce della giurisprudenza di legittimità e di merito:
 
Tribunale Vicenza sez. lav., 27/08/2020, n.182
L'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia professionale opera esclusivamente nei limiti posti dall'art. 10 del d.P.R. n.1124 del 1965 e per i soli eventi coperti dall'assicurazione obbligatoria, mentre qualora eventi lesivi eccedenti tale copertura abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano casualmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro, viene in rilievo l'art. 2087 cod. civ., che come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore assicurato.
 
Cassazione civile sez. VI, 25/08/2020, n.17655
In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, l'allegazione nel ricorso introduttivo proposto dai congiunti dell'assicurato di un fatto integrante, in astratto, un reato perseguibile d'ufficio è sufficiente ad incardinare validamente la causa di danno nei confronti del datore di lavoro, così radicando, nel giudice, il potere-dovere di dar corso all'istruttoria attraverso l'accertamento del fatto-reato e poi, superato positivamente tale accertamento, del danno "differenziale" e "complementare"; a tal fine è irrilevante la percezione di una rendita da parte dei superstiti. La mancata richiesta all'INAIL dell'indennizzo per danno biologico o per danno da invalidità temporanea o l'omessa indicazione del "quantum", viceversa, possono comportare, al più, la riduzione del risarcimento civilistico, mediante la deduzione dell'importo corrispondente alla prestazione previdenziale.
 
Cassazione civile sez. lav., 19/06/2020, n.12041
In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la disciplina prevista dagli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124/1965 deve essere interpretata nel senso che l'accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato, sia nel caso di azione proposta dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del cd. danno differenziale, sia nel caso dell'azione di regresso proposta dall'INAIL, deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all'elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale tra fatto ed evento dannoso.
 
Tribunale Trieste sez. lav., 20/06/2019, n.129
Poiché l'indennità Inail, in considerazione della sua natura assistenziale, non copre esattamente l'intero danno alla salute, anche dopo la novella di cui al decreto legislativo 38/2000 il lavoratore ha diritto, ricorrendo i presupposti dell'articolo 10 del TU 1124/1965, ad agire contro il datore di lavoro per il ristoro del danno biologico c.d. differenziale, ovverosia di quella parte di danno biologico che, in termini meramente quantitativi, non sia coperta dall'assicurazione obbligatoria. In altri termini, anche successivamente all'entrata in vigore del D.Lgs. 38/2000, a norma degli artt. 10 e 11 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 (T.U. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro), la responsabilità civile del datore di lavoro, nonostante la copertura assicurativa garantita al lavoratore infortunato dall'Inail, permane (con la conseguente esperibilità dell'azione risarcitoria dell'infortunato per il cosiddetto danno differenziale) quando l'infortunio sia stato cagionato dalla violazione delle norme di protezione contro gli infortuni, allorché il fatto si configuri come reato procedibile d'ufficio, valutazione effettuabile incidenter tantum anche dal giudice del lavoro. L'obbligo risarcitorio del datore di lavoro nei confronti del lavoratore infortunato, previsto dall'art. 10 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, è subordinato e limitato all'eventuale eccedenza dell'ammontare complessivo del risarcimento determinato secondo i criteri civilistici, rispetto alle indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti del T.U. dell'assicurazione obbligatoria.
 
Cassazione civile sez. lav., 21/05/2019, n.13645
In tema di calcolo del danno differenziale, le modifiche dell'art. 10 d.P.R. n. 1124 del 1965, introdotte dalla l. n. 145 del 2018, di natura innovativa e non meramente interpretativa, non si applicano agli infortuni sul lavoro verificatisi ed alle malattie professionali denunciate prima del 1° gennaio 2019.
 
Cassazione civile sez. lav., 21/05/2019, n.13645
Il giudice nella liquidazione del danno biologico c.d. differenziale, di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei casi in cui opera la copertura assicurativa INAIL, in termini coerenti con la struttura bipolare del danno -conseguenza, deve operare un computo per poste omogenee, sicché, dall'ammontare complessivo del danno biologico, va detratto non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza del d.lg. n. 38 del 2000, art. 13, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato, volta all'indennizzo del danno patrimoniale, senza che su tale soluzione spieghi effetti lo ius superveniens rappresentato dalla l. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1126, (legge finanziaria per l'anno 2019) che ha modificato il d.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10, atteso che dette modifiche non possono trovare applicazione in riferimento agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate prima del 1° gennaio 2019.
 
Cassazione civile sez. lav., 13/03/2019, n.7171
In tema di responsabilità del datore di lavoro per il danno da inadempimento l'indennizzo erogato dall'Inail ai sensi dell'art. 13 del d.lg. n. 38 del 2000 non copre il danno biologico da inabilità temporanea, atteso che sulla base di tale norma, in combinato disposto con l'art. 66, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 1124 del 1965, il danno biologico risarcibile è solo quello relativo all'inabilità permanente.
 
Cassazione civile sez. lav., 15/11/2018, n.29401
Il lavoratore tecno-patico ha diritto al risarcimento del danno biologico differenziale, qualora la malattia professionale sia la conseguenza della violazione dell'art. 2087, c.c., sufficiente per superare la regola del parziale esonero di cui all'art. 10, d.P.R. n. 1124 del 1965.
 
Cassazione civile sez. lav., 02/03/2018, n.4972
La regola dell'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro - e del suo superamento solo in presenza di illiceità penale - non vale per il danno che esula ab origine dalla copertura assicurativa INAIL (c. d. danno complementare, definito pure differenziale qualitativo) come il biologico temporaneo, il biologico in franchigia (fino al 5%,) il patrimoniale in franchigia (fino al 15%), il morale ed i pregiudizi esistenziali, il danno tanatologico o da morte iure proprio e jure successionis, la personalizzazione o ricadute soggettive del danno biologico); per ottenere il quale il lavoratore o suoi eredi possono agire nei confronti del datore secondo il diritto civile, azionando anche una domanda per responsabilità contrattuale (oltre che extracontrattuale); avvalendosi quindi se del caso dell'inversione dell'onere della prova della colpa, nella logica oramai assodata della responsabilità contrattuale ex artt. 2087 e 1218 c.c..
 
Corte appello Catanzaro sez. lav., 19/03/2018, n.30
In merito alla domanda di danno differenziale patito dalla dipendente, ai fini dell'accertamento del danno differenziale, è sufficiente che siano dedotte in fatto dal lavoratore circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d'ufficio, sottolineando che anche la violazione delle regole di cui all'art. 2087 c.c., norma di cautela avente carattere generale, è idonea a concretare la responsabilità penale. Nella specie, è emerso chiaramente che lo scivolamento della medesima lungo la scala è stato determinato dall'assenza dei dispositivi atti a prevenirlo che era compito del datore di lavoro apprestare.
 
Si vuole approfondire il tema della sicurezza sui luoghi di lavoro e riparto dell'onere probatorio come interpretato dalla più recente giurisprudenza:
 
Tribunale Roma, 19/02/2020, n.1498
In materia di danno ex art. 2087 c.c. è onere del lavoratore che lamenta l'esistenza di un danno da risarcire, fornire la prova in ordine alla esistenza di detto danno e alla nocività dell'ambiente lavorativo in cui ha operato e al collegamento tra il danno lamentato e la pericolosità dell'ambiente lavorativo, mentre grava sul datore di lavoro provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno lamentato e di aver adottato tutte le cautele necessarie e previste dalla normativa sulla sicurezza del lavoratore.
 
Tribunale Venezia sez. lav., 16/09/2020, n.222
In tema di tutela dei lavoratori nei luoghi di lavoro,  l'art.19 D.P.R. n.303/56 impone al datore di lavoro di effettuare, ogniqualvolta è possibile, in luoghi separati le lavorazioni pericolose ed insalubri allo scopo di non esporvi senza necessità i lavoratori addetti ad altre lavorazioni. L'art.21 dello stesso D.P.R. sancisce che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne, per quanto possibile, lo sviluppo e la dispersione nell'ambiente lavorativo. Ancora l'art.377 D.P.R. 547/55 prevede che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori mezzi personali di protezione appropriati ai rischi inerenti alle lavorazioni ed operazioni effettuate, qualora manchino o siano insufficienti i mezzi tecnici di protezione. e il successivo art.387, a sua volta, specifica che “i lavoratori esposti a specifici rischi di inalazioni pericolose di gas, polveri o fumi nocivi devono avere a disposizione maschere respiratorie o alti dispositivi idonei, da conservarsi in luogo adatto facilmente accessibile e noto al personale.
 
Corte appello Venezia sez. lav., 04/02/2020, n.423
Ai fini dell'accertamento della responsabilità del datore di lavoro, ex art. 2087 c.c. - la quale non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva – al lavoratore che lamenti di aver subìto, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, incombe l'onere di provare l'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette circostanze, l'onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno. Dunque, l’art. 2087 c.c. non fonda una ipotesi di responsabilità oggettiva sicché il lavoratore, che pretenda di essere risarcito per il danno subito in conseguenza di un infortunio, è soggetto all’ onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che il datore di lavoro ha posto in essere un comportamento contrario a norme inderogabili di legge o alle misure che nell’ esercizio dell’impresa debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, dovendosi escludere che il datore di lavoro sia responsabile di un infortunio solo perché accaduto durante lo svolgimento di attività lavorativa e non potendosi desumere automaticamente l’inadeguatezza delle misure di protezione solo dal fatto del verificarsi del danno.
 
Tribunale Modena sez. lav., 16/01/2020, n.15
L'art. 2087 c.c. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro - di natura contrattuale - va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.
 
Tribunale Taranto sez. lav., 27/11/2018, n.4153
Le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste dalle leggi speciali, impongono all'imprenditore e al committente (quest'ultimo quale garante), di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, per cui ai fini dell'accertamento della responsabilità degli stessi per il danno alla salute riportato dal lavoratore, hanno l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie ad impedire il verificarsi del danno, mentre a carico del lavoratore è imposto l'onere di provare l'esistenza di tale danno, la mancata adozione di determinate misure di sicurezza specifiche o generiche e il nesso causale tra questi due elementi (nella specie: si trattava di un lavoratore che aveva prestato la sua attività lavorativa presso l'arsenale della marina militare di Taranto, a bordo di navi e sommergibile militari, quale operaio saldatore in un'ambiente di lavoro angusto, rumoroso e saturo di polveri di amianto, senza sistemi di aspirazione e captazione di polveri di amianto, nonché senza l'utilizzo di maschere, tappi auricolari, cuffie o altri dispositivi di protezione individuale, né informazioni sui rischi derivanti dalla inalazione di polveri di amianto, dalla rumorosità dell'ambiente di lavoro e dal sollevamento dei pesi, in conseguenza di ciò il dipendente aveva riportato placche pleuriche, ipoacusia e discopatia del rachide).
 
Cassazione civile sez. lav., 30/07/2004, n.14663
La previsione dell'art. 2087 c.c. esclude che si possa configurare, in capo al datore di lavoro, una responsabilità di tipo oggettivo per il fatto che la violazione degli obblighi di tutela ivi contenuti devono essere considerati alla luce delle statuizioni contenute in norme di legge o derivanti da conoscenze tecniche esistenti al momento della violazione. Ai fini dell'accertamento della responsabilità del datore di lavoro, spetta al lavoratore provare l'esistenza del danno nonché la sussistenza del nesso causale tra la pericolosità dell'ambiente e quest'ultimo non essendo necessaria, invece, l'indicazione delle norme antinfortunistiche violate o delle misure non adottate in quanto tale onere probatorio risulta essere a carico del datore di lavoro il quale, a sua volta, deve dimostrare che abbia adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.
 
Si vuole in questo articolo approfondire la struttura e funzione della c.d. Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite o UNFCC United Nations Framework Convention on Climate Change nonché un focus sull'Accordo di Parigi (Paris Climate Agreement).

La Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (UNFCCC – United Nations Framework Convention on Climate Change), venne aperta alla sottoscrizione nell’ambito della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 (Earth Summit) ed entrò in vigore nel 1994. I Paesi firmatari dell’UNFCCC si impegnavano a «stabilizzare (…) le concentrazioni di gas a effetto serra nell’atmosfera a un livello tale che sia esclusa qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico» (art. 2).
L’Accordo di Parigi (Paris Climate Agreement) sul clima, siglato il 12.12.2015 nell’ambito della ventunesima Conferenza delle Parti della UNFCCC (COP-21), ha delineato un nuovo regime giuridico per l’attuazione della Convenzione Quadro sul Clima e le azioni di contrasto ai mutamenti climatici. Si compone di due documenti: la Decisione (Decision) e l’Accordo di Parigi (Paris Agreement), che formalmente costituisce un allegato alla prima. Con riferimento all’Accordo:
• Il Preambolo, che costituisce un ideale ponte tra la Decisione e l’Accordo stesso, riconduce l’esigenza di una risposta efficace alla minaccia dei cambiamenti climatici nell’ambito della tutela e promozione dei diritti umani ed afferma l’importanza dell’istruzione, della sensibilizzazione e della partecipazione del pubblico, dell’accesso all’informazione nonché della cooperazione a tutti i livelli sui temi affrontati.
• Gli artt. 3-6 dell’Accordo, fanno riferimento alle c.d. azioni di mitigazione, soprattutto informate all’impegno di ciascun Paese firmatario ad inviare un proprio piano nazionale di riduzione dei gas ad effetto serra ed a revisionarlo ogni cinque anni. L’Accordo istituisce un meccanismo su base volontaria, per contribuire alla mitigazione delle emissioni di gas a effetto serra e promuovere lo sviluppo sostenibile, sottoposto all’autorità ed alla direzione della Conferenza delle parti che designano uno specifico organismo a ciò dedicato (art. 6).
• L’art. 7 dell’Accordo fa riferimento alla promozione delle procedure di adattamento agli effetti del cambiamento climatico e di rafforzamento della resilienza climatica e dello sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra; le parti devono cooperare per incrementare le capacità delle varie realtà nazionali, regionali e locali di far fronte al mutamento del clima. L’attuazione dei processi di adattamento è coordinata da un apposito organismo istituito durante la COP di Cancùn, l’Adaption Committee.
• L’art. 83 disciplina il c.d. principio del c.d. «loss and damage» (perdite e danni), che si riferisce alla serie di impatti negativi legati ai cambiamenti climatici che non possono essere evitati né con misure di mitigazione né di adattamento. Nell’Accordo di Parigi è sostanzialmente recepito il meccanismo WIM (Warsaw International Mechanism for Loss and Damage) delineato a Varsavia (COP-19). Viene riconosciuto, per la prima volta, come richiesto dai Paesi in via di sviluppo e dalle Piccole Isole Stato, un ruolo specifico all’argomento delle perdite economiche e dei danni all’ambiente causati dai cambiamenti climatici. L’intesa riconosce la necessità di minimizzare e porre rimedio alle perdite e ai danni derivanti dagli effetti negativi dei mutamenti del clima, compresi i fenomeni meteorologici estremi e gli eventi lenti.
• L’art. 97 attiene all’organizzazione degli investimenti e dei flussi finanziari in senso coerente con uno sviluppo basato su ridotte emissioni di gas serra. Viene, infatti, promossa una finanza per il clima, in quanto i Paesi più ricchi sono chiamati a sostenere finanziariamente i Paesi più poveri nelle azioni di mitigazione e di adattamento.
• L’art. 10 dell’Accordo afferma il carattere centrale dell’impegno di sviluppo e del trasferimento delle tecnologie, sempre a carico dei Paesi sviluppati ed a beneficio dei Paesi in via di sviluppo, allo scopo di ridurre le emissioni e migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici. Il meccanismo di trasferimento delle tecnologie istituito negli Accordi di Cancùn viene confermato come strumento dell’Accordo di Parigi. Quindi, sia il Technology Executive Committee – TEC, strumento di indirizzo politico per il trasferimento tecnologico, che il Climate Technology Centre and Network – CTCN, strumento attuativo del trasferimento tecnologico, operano per l’implementazione dell’Accordo.
• Ai Paesi con minori capacità, quali i Paesi meno sviluppati e quelli che sono particolarmente vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici (come i piccoli Stati insulari in via di sviluppo) sono dedicate le «misure di rafforzamento delle capacità» previste dagli artt. 11 e 12 dell’Accordo.
• L’art. 13 dell’Accordo definisce un quadro di impegni in capo alle Parti finalizzato a garantire la trasparenza delle loro azioni, con carattere di flessibilità, in quanto tiene conto delle relative diverse capacità e si basa sull’esperienza collettiva.
• La Conferenza delle Parti verificherà periodicamente l’attuazione dell’Accordo, al fine di valutare i progressi collettivi compiuti nel perseguimento dei suoi obiettivi a lungo termine (art. 14).
• Per assicurare l’effettiva esecuzione degli impegni non sono previsti meccanismi sanzionatori, ma azioni articolate su tre assi [trasparenza e dovere di informazione (art. 13); sostegno ai Paesi più deboli (art. 10); efficienza] e la creazione di un apposito organismo con compiti di facilitazione e promozione (art. 15).
• L’Accordo andrà revisionato in funzione dei progressi compiuti e dell’aggiornamento dei dati sull’andamento del clima. Tale compito è attribuito ad un organismo, il CMA (Conference of the Parties serving as the meeting of the Parties to the Paris Agreement), di cui fanno parte solo gli Stati che hanno ratificato l’Accordo al momento della sua entrata in vigore.
Gli organismi istituiti in sede di Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite - UNFCCC sono 22 (principal bodies):
 
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 Fra i detti principal bodies che fanno parte dell’UNFCCC annoveriamo in via esemplificativa:
• Conference of the Parties (COP). Il COP è il supremo organo decisionale della Convenzione. Tutti gli Stati che sono parte della Convenzione sono rappresentati al COP, al quale esaminano l’attuazione della Convenzione e tutti gli altri strumenti giuridici che il COP adotta e prende le decisioni necessarie per promuovere l’effettiva attuazione della Convenzione, compresi gli accordi istituzionali e amministrativi.
• Conference of the Parties serving as the meeting of the Parties to the Kyoto Protocol (CMP). La Conferenza delle Parti, organo supremo della Convenzione, funge da riunione delle Parti del Protocollo di Kyoto. Tutti gli Stati che sono Parti del Protocollo di Kyoto sono rappresentati alla Conferenza delle Parti che funge da riunione delle Parti del Protocollo di Kyoto (CMP), mentre gli Stati che non sono parti partecipano come osservatori. Il CMP sorveglia l’attuazione del Protocollo di Kyoto e prende decisioni per promuovere la sua effettiva attuazione.
• Conference of the Parties serving as the meeting of the Parties to the Paris Agreement (CMA). La Conferenza delle Parti, organo supremo della Convenzione, funge da riunione delle Parti dell’accordo di Parigi. Tutti gli Stati che sono parte dell’accordo di Parigi sono rappresentati alla Conferenza delle Parti che funge da riunione delle parti dell’Accordo di Parigi (CMA), mentre gli Stati che non sono parti partecipano come osservatori. La CMA sovrintende all’attuazione dell’Accordo di Parigi e prende decisioni per promuovere la sua effettiva attuazione.
• Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice (SBSTA). L’SBSTA sostiene l’attività del COP, della CMP e della CMA attraverso la fornitura di informazioni e consulenze tempestive su questioni scientifiche e tecnologiche in quanto relative alla Convenzione, al Protocollo di Kyoto e all’Accordo di Parigi.
• Subsidiary Body for Implementation (SBI). Il SBI sostiene l’attività del COP e del CMP attraverso la valutazione e la revisione dell’effettiva attuazione della Convenzione e del suo Protocollo di Kyoto.
• Ad Hoc Working Group on the Paris Agreement (APA). Il 12 dicembre 2015 la Conferenza delle parti (COP) ha adottato l’Accordo di Parigi con decisione 1 / CP.21. Il gruppo di lavoro ad hoc sull’accordo di Parigi (APA) è stato istituito con la stessa decisione per prepararsi all’entrata in vigore dell’accordo di Parigi e per la convocazione della prima sessione della conferenza delle parti che servono come riunione delle parti all’accordo di Parigi (CMA).
• Bureau of the COP, CMP and CMA. L’Ufficio di presidenza sostiene la COP, la CMP e la CMA fornendo consulenza e orientamenti in merito ai lavori in corso nell’ambito della Convenzione, del Protocollo di Kyoto e dell’Accordo di Parigi, dell’organizzazione delle loro sessioni e del funzionamento del segretariato, soprattutto nei momenti in cui COP, CMP e CMA non sono in sessione. L’Ufficio di presidenza è eletto dai rappresentanti delle Parti nominati da ciascuno dei cinque gruppi regionali delle Nazioni Unite e degli Stati in via di sviluppo delle piccole isole.
• Compliance Committee. Le funzioni del comitato di conformità del Protocollo di Kyoto sono di fornire consulenza e assistenza alle parti nell'attuazione del protocollo di Kyoto, promuovere la conformità delle parti ai propri impegni e determinare i casi di inosservanza e applicare conseguenze nei casi in cui le parti non rispettano i loro impegni nell'ambito del Protocollo di Kyoto.
• CDM EB – Executive Board of the Clean Development Mechanism (CDM). Il comitato esecutivo del CDM sorveglia il Protocollo di Kyoto CDM sotto l’autorità e la guida del CMP. Il Comitato Esecutivo CDM è l’ultimo punto di contatto per i partecipanti al progetto CDM per la registrazione dei progetti e l’emissione di riduzioni di emissioni certificate.
• Joint Implementation Supervisory Committee (JISC). Il JSC, sotto l’autorità e la guida della CMP, sovrintende alla procedura di verifica dei progetti presentati per confermare che le conseguenti riduzioni delle emissioni da fonti o miglioramenti di rimozione antropogenica da parte dei pozzi di lavaggio soddisfano i requisiti di cui all’articolo 6 del Protocollo di Kyoto e le linee guida per l’attuazione.
• Technology Executive Committee (TEC). Il Comitato Esecutivo Tecnologico, insieme al Centro Tecnologico Climatico e alla Rete, in linea con le rispettive funzioni, è incaricato di agevolare l’efficace attuazione del Meccanismo Tecnologico, sotto la guida del COP. Il TEC è stato istituito dal COP alla sedicesima sessione nella decisione 1 / CP.16.
• Advisory Board of the Climate Technology Centre and Network (CTCN). Il Centro Tecnologie Climatici e la Rete (CTCN) è responsabile e sotto la guida del COP attraverso un consiglio di amministrazione. Il consiglio consultivo del CTCN è stato istituito al COP 18 e fornisce orientamenti al CTCN su come dare priorità alle richieste dei paesi in via di sviluppo e, in generale, monitorare, valutare e valutare le prestazioni del CTCN.
• Adaptation Committee (AP). Il comitato di adattamento è stato istituito dal COP nella sua sedicesima sessione nell’ambito degli accordi di Cancun (decisione 1 / CP.16) per promuovere l’attuazione di un’azione rafforzata sull’adattamento in modo coerente ai sensi della Convenzione, tra l’altro attraverso varie funzioni. Il suo lavoro è stato lanciato al COP 17.
• Executive Committee of the Warsaw International Mechanism for Loss and Damage. Il Comitato Esecutivo del meccanismo internazionale di Varsavia è stato istituito con la decisione 2 / CP.19 per guidare l’attuazione delle funzioni del meccanismo internazionale di Varsavia per perdite e danni.
• Standing Committee on Finance (SCF). Il mandato del comitato permanente delle finanze è quello di assistere il COP nell’esercizio delle sue funzioni rispetto al meccanismo finanziario della Convenzione in termini di: miglioramento della coerenza e del coordinamento nel finanziamento del cambiamento climatico; razionalizzazione del meccanismo finanziario; mobilitazione di risorse finanziarie; la misurazione, la segnalazione e la verifica del sostegno fornito ai partiti dei paesi in via di sviluppo. È stato stabilito dal COP alla sedicesima sessione con decisione 1 / CP.16. I suoi ruoli e funzioni furono ulteriormente definiti e la sua composizione e le modalità di lavoro elaborate al COP 17.
• The Paris Committee on Capacity-building (PCCB). Il comitato parigino sulla creazione di capacità (PCCB) è stato istituito dalla conferenza delle parti (COP) nel 2015 nell’ambito dell’adozione dell’Accordo di Parigi per affrontare le lacune ei bisogni, sia attuali che in fase di emergenza, nell’attuazione della capacità di sviluppo nello sviluppo e rafforzare ulteriormente gli sforzi per la creazione di capacità, anche per quanto riguarda la coerenza e il coordinamento delle attività di costruzione delle capacità nell’ambito della Convenzione.
• Adaptation Fund Board (AFB). L’AFB sorveglia e gestisce il Fondo di Adattamento ed è pienamente responsabile della CMP. Il Fondo di Adattamento è stato istituito per finanziare progetti e programmi di adattamento concreto in parti in via di sviluppo particolarmente vulnerabili agli effetti negativi del cambiamento climatico. Il Fondo di Adattamento è finanziato da una quota del 2% dei proventi delle riduzioni di emissioni certificate rilasciate dal comitato esecutivo del meccanismo di sviluppo pulito e da altre fonti di finanziamento.
• Least Developed Countries Expert Group (LEG). Il COP ha istituito il LEG, la cui iscrizione deve essere nominata dalle Parti, con l’obiettivo di sostenere le strategie di preparazione e di attuazione dei programmi di adattamento nazionali di azione.
• Consultative Group of Experts on National Communications from Parties not included in Annex I to the Convention (CGE). Il COP ha istituito il CGE con l’obiettivo di migliorare il processo di preparazione delle comunicazioni nazionali da parte di parti non incluse nell'allegato I della Convenzione.
• Secretariat. Il segretariato dell'UNFCCC fornisce un supporto organizzativo e una competenza tecnica ai negoziati e alle istituzioni dell’UNFCCC e facilita il flusso di informazioni autorevoli sull’attuazione della Convenzione e del suo protocollo di Kyoto. Ciò include lo sviluppo e l’attuazione efficace di approcci innovativi per attenuare i cambiamenti climatici e promuovere lo sviluppo sostenibile.
• United Nations institutional linkage. Le Nazioni Unite sono depositarie per la Convenzione e per il Protocollo di Kyoto. Il segretariato è istituzionalmente legato alle Nazioni Unite senza essere integrato in alcun programma e viene gestito in base alle norme e alle regolamentazioni delle Nazioni Unite.
• Global Environment Facility (GEF). Il GEF è un’entità operativa del meccanismo finanziario della Convenzione che fornisce sostegno finanziario alle attività e ai progetti dei paesi in via di sviluppo. Il COP fornisce regolarmente orientamenti al GEF sulle politiche, le priorità del programma ed i criteri di ammissibilità per il finanziamento.
• Green Climate Fund (GCF). Il GCF è un’entità operativa del meccanismo finanziario della Convenzione ed è responsabile e funzionale sotto la guida del COP. È governato da un Consiglio composto da 24 membri (pari al numero di parti sviluppati e in via di sviluppo) e destinato ad essere il principale fondo per la finanza mondiale di cambiamento climatico nel contesto della mobilitazione di 100 miliardi di dollari entro il 2020. Il GCF è stato istituito dal COP alla sua sedicesima sessione con decisione 1 / CP.16, progettata nel corso del 2011 da un Comitato di transizione e lanciata al COP 17 attraverso la decisione 3 / CP.17, compreso lo strumento governativo per il GCF.
• Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). L’IPCC è un corpo scientifico. Esamina e valuta, a intervalli regolari, le più recenti informazioni scientifiche, tecniche e socioeconomiche prodotte in tutto il mondo, pertinenti alla comprensione dei cambiamenti climatici. Non svolge alcuna ricerca né controlla i dati oi parametri relativi al clima. Il COP riceve i rapporti dell’IPCC e utilizza i dati e le informazioni IPCC come base di base sullo stato delle conoscenze sul cambiamento climatico nel prendere decisioni basate sulla scienza.
• Special Climate Change Fund (SCCF). Il Fondo speciale per il cambiamento climatico (SCCF) è stato istituito per finanziare attività, programmi e misure relative al cambiamento climatico, complementari a quelle sostenute da altri meccanismi di finanziamento per l’attuazione della convenzione. Il GEF (Global Environment Facility) è stato affidato a gestire lo SCCF.
• Least Developed Countries Fund (LCDF). Il COP ha istituito il Fondo per i paesi meno sviluppati (LDCF) per sostenere il programma di lavoro dei paesi meno sviluppati (LDC) e aiutare i paesi meno sviluppati, tra l’altro, a preparare e implementare i programmi nazionali di adattamento dell’azione (NAPA). Il Global Environment Facility (GEF) è stato affidato ad operare il LDCF.
• Capacity-bulding for Trasparency (CBIT). Il CBIT costituisce un nuovo fondo fiduciario gestito dal Global Environment Facility (GEF). L’obiettivo del CBIT è quello di rafforzare le capacità istituzionali e tecniche dei paesi in via di sviluppo per soddisfare i requisiti di trasparenza formulati dall’Accordo di Parigi.
 

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